giovedì 11 gennaio 2007

USTICA: UNA BRUTTA STORIA ITALIANA



Il Dc9 dell'Itavia precipitò il 27 giugno 1980. I morti furono 81. Ancora sconosciute le cause del disastro



Il 27 giugno 1980 l'aereo DC9 I-TIGI della compagnia Itavia decolla da Bologna. Sono da poco passate le 20. L'aereo è diretto a Palermo. Intorno alle 21 c'è l'ultimo contatto radio con il velivolo. Poi l'aereo sparisce dai radar. Scatta l'allarme, ma solo alle prime luci dell'alba del giorno dopo, a nord dell'isola di Ustica, vengono recuperati alcuni resti del volo precipitato. A bordo c'erano 81 persone, tra le quali 13 bambini: tutti morti.


IL MISTERO - È passato oltre un quarto di secolo, e le cause della strage restano ignote. Anche se le prime ricostruzioni parlarono di cedimento strutturale del velivolo, fin da subito si ipotizzò che a causare il disastro fossero stati una bomba, un missile o una collisione con un altro aereo. Nell'estate dell'86 si iniziò il recupero del relitto e nel giugno del '97 sul tavolo del giudice istruttore Rosario Priore arrivò il dossier completo delle indagini da cui emerse che il Dc9, la sera dell'incidente, volò per un'ora all'interno di uno scenario di guerra. Un supplemento di perizia confermò l'affollamento di velivoli nei cieli italiani.

IL PROCESSO - Il 31 luglio 1998 i pubblici ministeri romani Nebbioso, Roselli e Salvi chiesero il rinvio a giudizio per i generali dell'Aeronautica Bartolucci, Tascio, Melillo e Ferri e per altri cinque ufficiali. Secondo l'accusa, in particolare, i generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri omisero di comunicare al governo informazioni sul disastro aereo (nella richiesta si legge che non si proceda «in ordine al delitto di strage perché ignoti gli autori del reato»).

TRA PRESCRIZIONE E ASSOLUZIONE - Il reato contestato ai generali, prescritto per i giudici in primo grado e per il quale furono invece assolti in appello, oggi non esiste più, dopo la riforma dell'articolo 289 c.p. («attentato contro organi costituzionali») attuata con la legge n.85 del 2006. I giudici della terza Corte d'assise della Capitale derubricarono il reato, con l'applicazione del secondo comma del suddetto articolo, ritenendo che l'imputazione contestata avesse soltanto 'turbato' (e non 'impedito' come sostenuto dall'accusa) l'esercizio delle prerogative del Governo nel chiarire quanto accaduto al Dc9, e dunque dichiarando il non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato. I giudici d'appello assolsero invece i generali «perché il fatto non sussiste» ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., secondo comma (equivalente alla vecchia formula dell'insufficienza di prove), ritenendo che contro gli imputati ci fossero «deduzioni, ipotesi, verosimiglianze, 'non poteva non sapere', 'rilievi di ordine logico' ma nulla - si legge nella sentenza - che abbia la veste non solo di una prova ma anche di un indizio».

L'ULTIMA STRADA - Nel febbraio scorso, dopo la sentenza della Corte d'assise d'appello ma prima della pubblicazione delle sue motivazioni, è entrata in vigore la nuova legge, secondo la quale può essere accusato di attentato contro organi costituzionali «chiunque commette 'atti violenti' diretti ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente l'esercizio delle loro funzioni» al Presidente della Repubblica o al Governo, nonchè alle Camere, alla Consulta e alle assemblee regionali. Atti violenti, dunque, che di certo non sono contestati ai due imputati. Alla luce di ciò, la Procura generale di Roma, rappresentata dai pm Erminio Amelio e Maria Monteleone e dal pg Salvatore Vecchione, nel ricorrere alla Suprema Corte chiede di sostituire la formula assolutoria pronunciata nel dicembre 2005 con quella secondo cui «il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato». In tal modo, spiega l'avvocato Alfredo Galasso, legale di parte civile per i familiari della vittime, sarebbe rimasta aperta la possibilità di promuovere un'azione civile per i risarcimenti. Con la decisione della Cassazione, però, anche quest'ultima strada viene chiusa definitivamente.

Quanto al risarcimento ai parenti delle vittime, «il governo ha sempre dimostrato tutta la sua sensibilità». «E, con questo spirito, ha previsto nella Finanziaria una norma che equipara i parenti delle vittime del Dc9 dell’Itavia ai familiari delle vittime del terrorismo, garantendo così un risarcimento», riferiscono fonti di Palazzo Chigi.

Testo e foto da Il Corriere e La Stampa web


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