mercoledì 17 gennaio 2007

IL DITO

Quest'uomo è seduto sulla panca davanti alla porta di una sala operatoria.
Aspetta. Suo figlio è dentro da ore. Tre, avevano previsto. Ne sono passate già cinque. Non sa più che fare per non impazzire. Sua moglie è lontana, in un altro continente dove l'ha trascinata una curiosa credenza che forse può definirsi religiosa, forse no. Lui non crede. Non può pregare, niente.
Nella stanza entra a quel punto un uomo vestito di scuro, anziano, elegante. Siede di fianco al padre, giunge le mani, non parla. Il padre lo guarda. Non sa spiegarsi perché sia lì, ma non è il suo principale interrogativo, al momento. L'uomo elegante ricambia lo sguardo, sorride in modo sereno, estrae dalla tasca interna della giacca un coltello. La luce brilla sulla lama. Il padre inarca la schiena, ma l'uomo elegante continua a sorridere mentre dice: "Se ti tagli un dito tuo figlio vivrà". Non aggiunge altro. Porge al padre il coltello. L'orologio scatta, percorrendo un altro minuto.
L'uomo elegante dice: "Va per le lunghe, vero?". Il padre china la testa. "Puoi accorciare i tempi, evitare il dolore, il suo dolore. Basta un poco del tuo, in cambio".
Il padre alza la testa, si guarda intorno. L'uomo elegante indica un tavolo massiccio. Il padre si alza, va al tavolo, avvicina la mano, vi posa sopra, soltanto, il medio della mano sinistra. Con la destra, e con decisione, taglia. Stringe i denti e non urla. Alla fine cade a terra, ma non sviene.
Il coltello rimbalza sul pavimento accanto a lui. L'uomo elegante è in piedi, raccoglie il dito con un fazzoletto, lo rinchiude in un astuccio per sigari, lascia cadere il fazzoletto perché il padre possa tamponare la perdita di sangue, se ne va.
Fra poco si saprà se il bambino si è salvato. Non conta. Che ci sia un nesso tra il sacrificio del padre e la sua salvezza è discutibile, può non essere escluso. Dal punto di vista dell'uomo elegante è appena stata commessa un'azione crudele. Da quello del padre un'azione sublime, disperata ma sublime. Non è tutto, inevitabilmente, relativo?
(di Gabriele Romagnoli, “La Repubblica”, 21 aprile 2005)

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