lunedì 8 gennaio 2007

I CAPOLAVORI DI SAN PIETRO












In Vaticano dipinti e modelli ripercorrono la tormentata storia della basilica che Giulio II volle simbolo della potenza della Chiesa

L’idea fu di Giulio II. Rifare la basilica di San Pietro, il centro spirituale della cristianità ma anche la rappresentazione fisica della potenza della Chiesa, non era certo impresa facile. Così i lavori cominciarono nel 1506 e proseguirono tanto a lungo che ancora oggi per definire qualcosa senza fine la si paragona alla «fabbrica di san Pietro».
La mostra, curata da Antonio Paolucci nel Braccio di Carlo Magno in Vaticano, «Petros eni», Pietro è qui, aperta fino all'8 marzo, vuole proprio raccontare la lunga gestazione di questo monumento, simbolo del mondo cattolico ma anche della stessa città eterna.
Lavorare al progetto di san Pietro, com'è ovvio, faceva gola a tutti. E non c'era papa che non volesse legare il suo nome a questa grande opera: da Leone X a Paolo III, da Urbano VIII ad Alessandro VII. Così sono stati i più grandi artisti a partecipare alla realizzazione della più importante basilica del mondo. Per esempio, la cupola si deve al genio di Michelangelo, mentre l'abbraccio accogliente del colonnato è di Gian Lorenzo Bernini. Ma hanno collaborato alla costruzione di San Pietro Donato Bramante, che ricevette per primo il prestigioso incarico direttamente da Giulio II, Raffaello, Baldassarre Peruzzi, Antonio da Sangallo, Giacomo della Porta, Carlo Maderno ecc. Ognuno di loro riprendeva, oppure cambiava completamente, il disegno del suo predecessore. E si andava avanti così. D'altra parte nel sogno di Giulio II della Rovere c'era proprio un'opera irripetibile che doveva corrispondere al suo disegno universalistico di un nuovo rinascimento. Un progetto in cui Roma sarebbe stata al centro di una civiltà che avrebbe fatto rivivere la grandezza dell'antichità, dell'impero sotto le insegne del cristianesimo. Il papa sarebbe stato, nello stesso tempo, il successore dei grandi imperatori e di San Pietro. E per questa ragione la sua tomba avrebbe dovuto sorgere lì. Un'idea gigantesca e irrealizzabile affidata a Michelangelo che tutta la vita avrebbe fatto i conti con la frustrazione di non averla eseguita come avrebbe voluto. Del primo progetto restano capolavori come gli Schiavi morenti conservati al Louvre. In mostra di Michelangelo, tra le altre cose, c'è un potente disegno da Masaccio, ma anche una dolente Crocifissione, abbozzata che rivela una sofferenza quasi empatica tra lo scultore e il Cristo raffigurato. Per capire quanto fosse importante per il pontificato di Giulio II il ruolo delle arti basti ricordare che fu lui a commissionare la volta della cappella Sistina a Michelangelo e le Stanze a Raffaello. Ed è a lui che si deve il primo nucleo dei musei vaticani, quando decise di esporre all'aperto, nel cortile del Belvedere, le sculture antiche, tra cui il celebre Laocoonte, ritrovato sempre nel 1506 (fino al 28 febbraio, ai Musei vaticani è aperta un'esposizione che celebra il ruolo del Laocoonte e la nascita dei musei).
Questa esposizione che ha per sottotitolo «Cento capolavori per San Pietro», raccoglie disegni, progetti, stampe, dipinti, sculture, monete, bassorilevi che hanno come soggetto la basilica e la sua piazza, i papi e gli artisti artefici della sua realizzazione, la precedente costruzione costantiniana, l'iconografia di San Pietro. In questa sezione ecco la sua Crocifissione drammaticamente interpretata da Caravaggio per la cappella Cerasi in santa Maria del Popolo a Roma, di fronte a un ben più piccolo quadro di Rembrandt che mostra l'apostolo inginocchiato in preghiera.
E' interessante vedere i diversi progetti su carta, immaginare come sarebbe potuta essere questa chiesa ma anche ritrovarla nelle stampe che l'hanno inquadrata prima dell'intervento di Bernini o di quello del Ventennio con l'apertura di Via della Conciliazione.
E affascina confrontare il ritratto di Leone X di Raffaello con quello di Paolo III di Tiziano.


Testo da La Stampa e immagini da Internet

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