lunedì 27 febbraio 2023

Viaggiare apre la mente

 


Ciao a tutti e a tutte,

oggi mi piacerebbe condividere con voi un saggio che ho presentato ad un esame della mia Università, nello specifico parlo di antropologia delle relazioni interetniche.

Tratta il tema del razzismo, perchè esiste quest'ultimo, da cosa nasce, con il fine di trovare dei mezzi per poterlo ridurre al minimo. Spero che vi piaccia.

Ormai il razzismo sembra essere un elemento radicato nelle nostre società, anche se è senza dubbio migliorato negli ultimi anni.

Tale fenomeno nasce per via della non conoscenza di un determinato gruppo facente parte della nostra società e riconosciuto come estraneo, e per l'esigenza di attribuirne delle caratteristiche, che siano fondate o meno.

L'uomo infatti, per natura, ha bisogno di identificare tutto ciò che lo circonda rischiando perciò di cadere nell'errore, se non informato, e di conseguenza può essere vittima del pregiudizio.

Con la parola ''pregiudizio'' si intendono tutte quelle informazioni le quali nascono ancor prima che vi sia una reale conoscenza del fenomeno a cui si fa riferimento. Lo stesso Spinoza, noto filosofo del 600, ha parlato di pregiudizio sostenendo che «sia un atteggiamento di ottusità, prevenzione e indisponibilità ad accogliere il vero […], sia il condizionamento che la quotidiana esperienza sensibile esercita sulle menti umane ostacolando il puro ragionamento»  in tale frase sottolinea il fatto che il pregiudizio ostacoli il ragionamento, in quanto non permette la formazione di una conoscenza veritiera di un determinato fenomeno, basando cioè la propria conoscenza su dicerie e consolidando queste ultime attraverso l'influenza dei media e di alcuni politici; i quali tendono spesso a sfruttare l'ignoranza di una buona parte della società (in questo caso italiana) per inculcare paure immaginarie al fine di fare propaganda e ottenere più voti.

Ci sono diversi elementi che potrebbero però consentirci di sfuggire al pregiudizio, uno di questi è ad esempio informarsi, basti anche pensare a ciò che è successo nella storia, che abbiamo avuto modo di studiare tutti alle superiori, molti avvenimenti è bene conoscerli affinché non si ripetano, basti pensare ai campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale, quando gli Ebrei venivano ingiustamente prelevati per essere portati nei campi di sterminio ad Aushwiz e successivamente uccisi. Questo fenomeno è solito commuovere tutti, anche coloro che sono intolleranti nei confronti degli attuali sbarchi, forse inconsapevoli che stanno ripetendo il medesimo errore.

Ma forse non basta a tutti conoscere e capire determinati argomenti, al fine di distanziarsi da posizioni fin troppo radicali. A mio parere, però, il viaggio può essere un elemento fondamentale per poter conoscere ed apprezzare ciò che è diverso da noi.

Attraverso il viaggio, infatti, è possibile non solo conoscere luoghi, culture, persone e usi e costumi diversi, ma è anche motivo di crescita personale; viaggiare permette un tipo di crescita che non si può raggiungere attraverso altre esperienze.

Il viaggio permette non solo di conoscere ciò che sta al di fuori della nostra società, di quella che è la nostra ''normalità'' , ma anche noi stessi in quanto apre la mente a nuove prospettive, a nuovi modi di vedere e percepire la realtà, ci mette davanti al crollo di tutte le nostre certezze, certezze date dalla società di appartenenza, e ci consente di creare una nuova visione, più ampia, del mondo.

Vedere posti nuovi ci permette di abbattere qualsiasi pregiudizio e idea infondata che portiamo con noi da generazioni, in quanto è possibile toccare con mano una cultura differente dalla nostra e conoscerla davvero.

Attraverso ad esempio la mobilità Erasmus, che è possibile fare nelle nostre Università, si può entrare in contatto non solo con la cultura con la quale si sceglie di approcciarsi, ma anche con tante altre culture, in quanto possono esserci molte altre persone provenienti da paesi diversi che hanno deciso di intraprendere lo stesso percorso. Svolgere, ad esempio, la mobilità in Spagna ci permette di conoscere persone da diverse parti del mondo, non solo di origine spagnola.

Un percorso del genere favorirebbe forse una maggiore tolleranza di ciò che invece deve necessariamente entrare in contatto con la nostra società, e ci porterebbe a cercare di capirlo. Se invece ci si rinchiude nel proprio guscio è molto facile considerare le proprie usanze come ''universalmente'' corrette , applicando il fenomeno del cosiddetto ''etnocentrismo''.

Attraverso il viaggio è dunque possibile mettersi nei panni dell'altro e perciò può sviluppare o risvegliare eventualmente l’ aspetto empatico, il quale sarebbe fondamentale per gestire gli attuali flussi migratori che sono spesso messi in cattiva luce da gran parte della popolazione ospitante.

Il migrante che ha dovuto spostarsi per ragioni di sopravvivenza o altro sarebbe maggiormente compreso, o meglio ci si interrogherebbe di più sul perchè del suo spostamento. Egli infatti, non solo ha come motivazione quella di sfuggire alla guerra o catastrofi naturali, ma potrebbe anche solo sentire l'esigenza di vivere un altro livello di opportunità, che magari non è capace di dargli il suo paese d'origine. Chiunque merita di realizzarsi come crede e dove crede.

Il viaggio può dunque favorire questo tipo di prospettiva, più aperta, ma non accade in tutti i casi. Infatti dipende molto da come ci si approccia a tale esperienza, se ci si approccia con distacco o se la si vuole vivere appieno immergendosi nella cultura del posto. Potrebbe anche succedere che si tenda a rimanerne distaccati per la presunzione che la propria cultura sia superiore.

Se si riuscisse a dar valore a quella che è la diversità, potremo coglierne la ricchezza. Anziché vedere la migrazione come un problema, la si dovrebbe vedere come un’opportunità; ossia un’occasione per conoscere una nuova cultura, una nuova lingua, nuovi usi e costumi, ma soprattutto nuovi modi per conoscere noi stessi, infatti il sociologo Georg Simmel sosteneva che riconosciamo chi siamo nel rapporto con l’altro, quest’ultimo risulta quindi essere fondamentale. Spesso capita invece che si voglia reprimere l’identità culturale dei migranti a favore di una completa integrazione. Rischiando cioè di andare incontro ad un processo di spersonalizzazione di quest’ultimo. Se infatti si applicasse sempre questo metodo per tutti i nuovi arrivati, si finirebbe per far parte tutti un’unica cultura, perdendo i valori e le peculiarità di ciascuna.

L’approccio ideale da adottare sarebbe quello ‘’insulare’’ , ossia quello di riconoscere determinati gruppi come dotati di proprie caratteristiche specifiche, differenti dalle proprie, e saperle rispettare e valorizzare. Ma l’obiettivo non è quello di isolarli, come potrebbe far erroneamente intendere tale termine, ma bensì quello di creare una rete di relazioni interculturali che non va a nuocere l’identità di ciascuno.

 Voi cosa pensate riguardo questo tema? Fatemelo sapere nei commenti.

Un abbraccio,

Sara


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