Ciao a tutti e a tutte,
oggi mi piacerebbe condividere con voi un saggio che ho presentato ad un esame della mia Università, nello specifico parlo di antropologia delle relazioni interetniche.
Tratta il tema del razzismo, perchè esiste quest'ultimo, da cosa nasce, con il fine di trovare dei mezzi per poterlo ridurre al minimo. Spero che vi piaccia.
Ormai il
razzismo sembra essere un elemento radicato nelle nostre società, anche se è
senza dubbio migliorato negli ultimi anni.
Tale
fenomeno nasce per via della non conoscenza di un determinato gruppo facente
parte della nostra società e riconosciuto come estraneo, e per l'esigenza di
attribuirne delle caratteristiche, che siano fondate o meno.
L'uomo
infatti, per natura, ha bisogno di identificare tutto ciò che lo circonda
rischiando perciò di cadere nell'errore, se non informato, e di conseguenza può
essere vittima del pregiudizio.
Con la
parola ''pregiudizio'' si intendono tutte quelle informazioni le quali nascono
ancor prima che vi sia una reale conoscenza del fenomeno a cui si fa
riferimento. Lo stesso Spinoza, noto filosofo del 600, ha parlato di pregiudizio sostenendo che «sia un atteggiamento di ottusità,
prevenzione e indisponibilità ad accogliere il vero […], sia il condizionamento
che la quotidiana esperienza sensibile esercita sulle menti umane ostacolando
il puro ragionamento» in tale frase
sottolinea il fatto che il pregiudizio ostacoli il ragionamento, in quanto non
permette la formazione di una conoscenza veritiera di un determinato fenomeno,
basando cioè la propria conoscenza su dicerie e consolidando queste ultime
attraverso l'influenza dei media e di alcuni politici; i quali tendono spesso a
sfruttare l'ignoranza di una buona parte della società (in questo caso
italiana) per inculcare paure immaginarie al fine di fare propaganda e ottenere
più voti.
Ci sono
diversi elementi che potrebbero però consentirci di sfuggire al pregiudizio,
uno di questi è ad esempio informarsi, basti anche pensare a ciò che è successo
nella storia, che abbiamo avuto modo di studiare tutti alle superiori, molti
avvenimenti è bene conoscerli affinché non si ripetano, basti pensare ai campi
di concentramento durante la seconda guerra mondiale, quando gli Ebrei venivano
ingiustamente prelevati per essere portati nei campi di sterminio ad Aushwiz e successivamente uccisi. Questo fenomeno è
solito commuovere tutti, anche coloro che sono intolleranti nei confronti degli
attuali sbarchi, forse inconsapevoli che stanno ripetendo il medesimo errore.
Ma forse
non basta a tutti conoscere e capire determinati argomenti, al fine di
distanziarsi da posizioni fin troppo radicali. A mio parere, però, il viaggio può essere un elemento fondamentale per poter conoscere ed apprezzare ciò che è
diverso da noi.
Attraverso
il viaggio, infatti, è possibile non solo conoscere luoghi, culture, persone e
usi e costumi diversi, ma è anche motivo di crescita personale; viaggiare
permette un tipo di crescita che non si può raggiungere attraverso altre
esperienze.
Il viaggio
permette non solo di conoscere ciò che sta al di fuori della nostra società, di
quella che è la nostra ''normalità'' , ma anche noi stessi in quanto apre la
mente a nuove prospettive, a nuovi modi di vedere e percepire la realtà, ci
mette davanti al crollo di tutte le nostre certezze, certezze date dalla
società di appartenenza, e ci consente di creare una nuova visione, più ampia,
del mondo.
Vedere posti nuovi ci permette di abbattere qualsiasi pregiudizio e idea infondata che portiamo
con noi da generazioni, in quanto è possibile toccare con mano una cultura
differente dalla nostra e conoscerla davvero.
Attraverso
ad esempio la mobilità Erasmus, che è possibile fare nelle nostre Università,
si può entrare in contatto non solo con la cultura con la quale si sceglie di
approcciarsi, ma anche con tante altre culture, in quanto possono esserci molte altre persone provenienti da paesi diversi che hanno deciso di intraprendere lo stesso percorso. Svolgere, ad esempio, la
mobilità in Spagna ci permette di conoscere persone da diverse parti del mondo,
non solo di origine spagnola.
Un
percorso del genere favorirebbe forse una maggiore tolleranza di ciò che invece
deve necessariamente entrare in contatto con la nostra società, e ci porterebbe
a cercare di capirlo. Se invece ci si rinchiude nel proprio guscio
è molto facile considerare le proprie usanze come ''universalmente'' corrette ,
applicando il fenomeno del cosiddetto ''etnocentrismo''.
Attraverso il viaggio è dunque possibile mettersi nei
panni dell'altro e perciò può sviluppare o risvegliare eventualmente l’ aspetto
empatico, il quale sarebbe fondamentale per gestire gli attuali flussi
migratori che sono spesso messi in cattiva luce da gran parte della popolazione
ospitante.
Il migrante che ha dovuto spostarsi per ragioni di
sopravvivenza o altro sarebbe maggiormente compreso, o meglio ci si
interrogherebbe di più sul perchè del suo spostamento. Egli infatti, non solo
ha come motivazione quella di sfuggire alla guerra o catastrofi naturali, ma
potrebbe anche solo sentire l'esigenza di vivere un altro livello di
opportunità, che magari non è capace di dargli il suo paese d'origine. Chiunque
merita di realizzarsi come crede e dove crede.
Il viaggio può dunque favorire questo tipo di
prospettiva, più aperta, ma non accade in tutti i casi. Infatti dipende molto
da come ci si approccia a tale esperienza, se ci si approccia con distacco o se
la si vuole vivere appieno immergendosi nella cultura del posto. Potrebbe anche
succedere che si tenda a rimanerne distaccati per la presunzione che la propria
cultura sia superiore.
Se si riuscisse a dar valore a quella che è la
diversità, potremo coglierne la ricchezza. Anziché vedere la migrazione come un
problema, la si dovrebbe vedere come un’opportunità; ossia un’occasione per
conoscere una nuova cultura, una nuova lingua, nuovi usi e costumi, ma
soprattutto nuovi modi per conoscere noi stessi, infatti il sociologo Georg
Simmel sosteneva che riconosciamo chi siamo nel rapporto con l’altro,
quest’ultimo risulta quindi essere fondamentale. Spesso capita invece che si
voglia reprimere l’identità culturale dei migranti a favore di una completa
integrazione. Rischiando cioè di andare incontro ad un processo di spersonalizzazione
di quest’ultimo. Se infatti si applicasse sempre questo metodo per tutti i
nuovi arrivati, si finirebbe per far parte tutti un’unica cultura, perdendo i
valori e le peculiarità di ciascuna.
L’approccio ideale da adottare sarebbe quello ‘’insulare’’
, ossia quello di riconoscere determinati gruppi come dotati di proprie
caratteristiche specifiche, differenti dalle proprie, e saperle rispettare e
valorizzare. Ma l’obiettivo non è quello di isolarli, come potrebbe far
erroneamente intendere tale termine, ma bensì quello di creare una rete di
relazioni interculturali che non va a nuocere l’identità di ciascuno.
Sara
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