Carissimi,
abbiamo iniziato ad ospitare sul nostro blog i contributi di alcune studentesse del livello C2. Qui di seguito potete leggere l'interessantissimo articolo di Mar Bayo sull'uso dell'inglese nella lingua italiana.
Se volete scrivere sul nostro blog, fatelo sapere alle vostre insegnanti e vi ospiteremo volentieri.
Meeting, call, coffee-break, weekend, make-up, manager… La lingua italiana è sempre più piena di anglicismi. Forse per pigrizia
oppure per conformismo, gli italiani usano un’enorme quantità di parole straniere anche se
l’italiano ha termini corrispondenti, spesso più efficaci, comprensibili e
naturale.
L’italiano è una lingua
molto più accogliente nei confronti delle parole anglosassoni di quanto lo
siano altre lingue europee come, per esempio, il
francese. Infatti, va da sé che il francese combatte con forza affinché le
parole di derivazione inglese non entrino a far parte della lingua corrente, ma
vengano sempre tradotte con un equivalente nativo.
Perché –ci chiederà Annamaria Testa, sociologa e accademica– diciamo “weekend” invece di fine settimana e ti faccio una “call” invece di un semplice “ti chiamo”? È forse un modo di sentirsi “cool” in un paese in cui il 50% della popolazione non spiccica una parola d’inglese? O forse dietro c'è un complesso di inferiorità?
Questa esperta di
comunicazione, che ha firmato alcune delle campagne pubblicitarie più celebri
della storia italiana, si è fatta promotrice nel febbraio 2015 dell’iniziativa #dilloinitaliano
che mira a ridurre l’uso frequente e arbitrario di termini inglesi, il
cosiddetto “itanglese”, in particolare nel linguaggio amministrativo, aziendale e pubblicitario.
In questa interessantissima conferenza TED,
Annamaria Testa analizza con una certa ironia cosa sta accadendo alla lingua
italiana. Dovremmo renderci conto che la lingua fa parte della nostra identità,
delle nostre radici, della nostra storia e del nostro pensiero. Perderla, insomma, significa
rinunciare a quello che siamo.
E tu, che ne pensi, my
friend?
Un abbraccio,
Mar BM
2 commenti:
È proprio vero! Uno dei paradossi è, per esempio, il nome del Ministero che si occupa dei più deboli e che ha in nome oscuro di MINISTERO DEL WELFARE.
Il dizionario Treccani definisce il WELFARE nel modo seguente:
Il termine inglese welfare indica l’insieme di interventi e di prestazioni erogati dalle istituzioni pubbliche e finanziati tramite entrate fiscali (welfare State), destinati a tutelare i cittadini dalle condizioni di bisogno, a coprirli da determinati rischi (Stato assistenziale o Stato sociale), migliorarne la qualità della vita e il benessere, garantire istruzione, cure sanitarie, assistenza, previdenza pensionistica, formazione professionale, ricerca universitaria, sostegno al lavoro e all’imprenditorialità, promozione della famiglia ecc. e un tenore di vita minimo in attuazione dei diritti di cittadinanza.
Giusto stamattina su Radio 2, sul programma radiofonico “Non è un paese per giovani”, parlavano di quanto poco esterofilo sia il linguaggio spagnolo. Tra gli esempi che hanno messo: ordenador e ratón invece di computer e mouse, la nostra pronuncia della parola inglese WIFI o la traduzione degli acronimi come quello de la NATO, per noi OTAN.
Quale sia il motivo per cui la società italiana accolga con grandissima leggerezza le parole straniere e perché invece noi spagnoli ci ostiniamo a tradurre ogni singola parola che osi oltrepassare le nostre frontiere, non lo so. Ma certamente, pare che si tratti di un argomento che ci stupisce a vicenda.
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